Rifiuti urbani e rifiuti speciali, verso la fine del far west dell’assimilazione?

Le associazioni di categoria incalzano il Governo, che con 20 anni di ritardo sta approntando uno schema di provvedimento per risolvere il problema.

Era stato messo nero su bianco nel lontano 1997. Edo Ronchi era ancora Ministro dell’Ambiente e, con il decreto del 5 febbraio (quello che porta il suo nome), aveva stabilito che tra le competenze dello Stato vi è anche quella di determinare i “criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani”. Vent’anni e 11 governi dopo l’Italia continua ad attendere quei criteri. Il Ministero dell’Ambiente non ha mai adottato un provvedimento in tal senso e nel frattempo i Comuni, che dovrebbero gestire solo i rifiuti urbani, si sono mossi in maniera autonoma, estendendo la propria privativa anche a determinate categorie di rifiuti speciali prodotti da imprese e attività commerciali. Per risolvere la questione, l’esecutivo ha avviato una serie di audizioni per redigere uno schema di decreto. In molti hanno risposto all’appello, anche con proposte concrete.

È il caso di Assorimap, Assosele, Assorecuperi, Fise Assoambiente e Fise Unire – le più importanti associazioni del settore privato della gestione dei rifiuti – a cui si è aggiunta anche Confapi, che insieme hanno sollevato le problematiche della situazione attuale e presentato possibili soluzioni. Per le associazioni, la mancata emanazione del decreto sui criteri di assimilazione, previsto dall’art. 18, comma 2, lett. d) del D.Lgs. 22/97 e, successivamente, dall’art. 195, comma 2, lett. e) del D.Lgs. 152/06, ha lasciato ai Comuni una sempre maggiore discrezionalità al punto che gli stessi, con proprie Delibere o Regolamenti, hanno disciplinato la materia (e conseguentemente la portata applicativa della tassa o tariffa) in maniera assolutamente disomogenea sul territorio e sulla base di un contesto gestionale e tecnologico superato.

I limiti della situazione attuale sono già stati evidenziati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che, nella sua indagine conoscitiva sui rifiuti urbani, scrive: “per quanto riguarda l’eccessivo ricorso da parte dei Comuni all’istituto dell’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, si rileva che esso è motivato da una serie di ragioni che vanno dall’ampliamento del novero dei soggetti che pagano la tassa di igiene urbana all’inclusione nella raccolta di rifiuti di migliore qualità, nell’ottica, da un lato, di far pagare meno il servizio ai cittadini e dall’altro lato, di raggiungere più agevolmente le percentuali di raccolta differenziata imposte dalla legge”.

Quel che serve all’Italia, e che fino ad oggi è mancato – sottolineano le associazioni – è un approccio moderno alla gestione dei rifiuti, tutelando la libera concorrenza, assicurando le migliori soluzioni tecnologiche e un’adeguata copertura dei costi dei servizi senza sopperire alle inefficienze degli Enti locali.

L’obiettivo delle proposte di Assorimap, Assosele, Assorecuperi, Confapi, Fise Assoambiente e Fise Unire è evitare che il decreto si limiti a cristallizzare la situazione esistente, ma che piuttosto la riconduca all’originale dettato normativo.

Nel dettaglio, per le associazioni l’assimilazione ai rifiuti urbani dovrebbe essere disposta dai Comuni per i rifiuti speciali non pericolosi che abbiano caratteristiche merceologiche e composizione chimico-fisica simili a quelle dei rifiuti domestici, che siano a questi comparabili anche da un punto di vista quantitativo e che siano compatibili con l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani adottati sul territorio comunale e sul territorio dell’ATO di appartenenza. Assimilazione che non dovrebbe comunque essere consentita nei casi in cui il servizio non sia in grado di soddisfare, in termini sia qualitativi che quantitativi, le esigenze delle utenze non domestiche. Ferma restando, per il ritiro di rifiuti speciali non assimilati, la possibilità per il produttore dei rifiuti medesimi di stipulare una convenzione con il Comune o con l’Ente gestore del servizio (in condizione di concorrenza rispetto alle imprese autorizzate), la privativa comunale andrebbe quindi circoscritta solo ai casi strettamente necessari, così da limitare il ricorso alla gestione in esclusiva ed evitare di creare sovrapposizioni tra intervento pubblico e mercato privato già esistente, considerati peraltro i costi di gestione del pubblico.

Il tutto, concludono le associazioni, nel pieno rispetto dei principi di libera concorrenza, sussidiarietà dell’intervento pubblico rispetto a quello privato, efficienza, economicità e sostenibilità economica.